Eric Clapton Live @ Royal Albert Hall

L’Albert Hall (o forse sarebbe meglio dire la Clapton Hall) negli ultimi anni è diventata in pratica residenza fissa per Eric Clapton, che dalla reunion con i Cream in poi ha calcato il prestigioso palco decine di volte. Che sia da solo, come questa volta, o insieme all’amico Steve Winwood come accadrà invece dalla prossima settimana, fa poca differenza: Clapton sta vivendo una seconda giovinezza sconvolgente, in cui il periodo “pop” sembra completamente dimenticato, a favore di quello blues, come se nella parte finale della propria carriera sentisse il bisogno fisiologico ed impellente di tornare alle proprie origini. Inutile dire che questo sia il Clapton migliore possibile, quello per il quale furono tirati fuori paragoni imbarazzanti (God?) e in qualche modo incompatibili con la musica da lui proposta, storicamente (e prima del rock) quella più apprezzata dal demonio. Angelo o diavolo che sia, Clapton dimostra di avere ancora dentro di sé un fuoco perpetuo che in alcuni momenti della propria carriera pareva spento del tutto e che risentito oggi non fa che aumentare la nostalgia per un periodo, quello a cavallo tra la fine dei sixties e la metà del decennio successivo, del quale oggi non troviamo degni eredi e che ci fa ancora aspettare con ansia tour nostalgici come questi. Insomma, il discorso è sempre un po’ lo stesso: fra cinque o sei anni gli artisti che sono in giro oggi non potranno più farlo e le nuove leve non sembrano in grado di seguirne le orme. Tornando però alla serata, essendo questo il tour di supporto di un album ben diviso tra standard blues e nuovi pezzi che ne ripercorrono le tracce, la setlist non potrebbe essere più “classica” di quella scelta: Slowhand è riuscito a trovare il giusto equilibrio tra cover e pezzi scritti di proprio pugno, passando da splendide versioni di “Hoochie Coochie Man” e “Before You Accuse Me” a standard della sua carriera come “Wonderful Tonight”, senza dimenticare un sentito omaggio a Gary Moore e alla sua “Still Got The Blues”. Difficile indicare i momenti migliori, tanta è la qualità di ogni brano e la maestria della (giovane) band che affianca ultimamente il musicista, ma di certo tra questi va annoverata un’esecuzione acustica da brividi di “Layla”, che ci ha riportato immediatamente ai tempi dell’unplugged, e una “Nobody Knows You When You’re Down And Out” accolta dalla standing ovation dei presenti. Qualcuno si aspettava forse di più dal repertorio Cream, ma l’interminabile finale sulle note di “Crossroads” ha finito per mettere d’accordo tutti i presenti. Sperando di vederlo su un palco fino a novant’anni come il suo amico BB King…